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Focus

Partita IVA in home page: chiariamo alcuni dubbi

Giovedì 11 Dicembre 2008
autore: Rocco Ricci
Uno degli interrogativi principali che accomuna chi intraprende la via dell’e-commerce è senza dubbio quello sugli adempimenti fiscali da assolvere per poter vendere on line; una serie di passaggi che interessa non solo chi vende da anni, ma soprattutto chi intende sperimentare i vantaggi offerti dalla new economy e dalla Rete. Uno dei quesiti più frequenti nel Web è quello legato alla necessità o meno di inserire il numero di Partita Iva sul proprio sito di e-commerce, in particolare dove (nella sola home page o in ogni pagina del sito) e in quali casi. Si tratta senz’altro di un argomento trito e ritrito su Internet, cui, tuttavia, non sempre si accompagnano risposte chiare ed esaurienti.

Certi dell’interesse dei nostri lettori, abbiamo raccolto in questo articolo quelli che in Rete rappresentano gli interrogativi principali e frequenti legati all’inserimento del numero di Partita Iva in home page e li abbiamo rivolti a Rocco Ricci, Dottore Commercialista e nuovo collaboratore di InterTraders.

- La Partita IVA in home page è obbligatoria solo per chi fa e-commerce o anche per chi ospita semplicemente dei banner?

- Per le persone fisiche che hanno un sito amatoriale la presenza di un banner (e quindi di un introito pubblicitario) cosa comporterebbe?

- Ci sono delle categorie di soggetti non tenute a rispettare l’obbligo?

- Su eBay i venditori professionali riportano l'IVA nelle aste, ma anche in questo caso è obbligatoria?

- Quali sono i riferimenti normativi in materia?

- Quali sono le sanzioni per chi non rispetta l’obbligo?


Con un linguaggio divulgativo e volutamente libero da tecnicismi di sorta, nello stile di InterTraders, l’autore ha inteso fornire una risposta organica a questi e ad altri frequenti interrogativi che circolano in Rete sull’argomento.

Segue l’articolo.


L’introduzione dell’obbligo dell’indicazione del numero di Partita Iva nella home page del sito di proprietà di un soggetto Iva risale al 2001. Infatti, l'art. 2, del D.P.R. 5 ottobre 2001, n. 404 ha modificato il comma 1 dell'art. 35 del D.P.R. 633/1972, il quale nella nuova formulazione prevede l’indicazione del numero di Partita Iva “nelle dichiarazioni, nella home-page dell'eventuale sito web e in ogni altro documento ove richiesto”. Tale modifica è entrata in vigore il 1° dicembre 2001.

La maggior parte dei destinatari di tale disposizione, ha interpretato la stessa nel senso che l’obbligo riguardasse solo quelle imprese che svolgono attività di e-commerce. Questa interpretazione trova fondamento nella disposizione contenuta nel comma 2, lett. e) dello stesso art. 35 del D.P.R. 633/1972, il quale stabilisce che nel modello di dichiarazione di inizio attività (da presentare presso l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate entro 30 gg. dall’inizio dell’attività stessa) “per i soggetti che svolgono attività di commercio elettronico” devono risultare “l’indirizzo del sito web ed i dati identificativi dell’internet service provider”.

Tale interpretazione, però, è stata sconfessata dalla risoluzione n. 60 del 16/05/2006 dell’Agenzia delle Entrate. Con essa l’Amministrazione finanziaria ha voluto precisare che “l’indicazione del numero di P.I. nel sito web rileva per tutti i soggetti Iva, a prescindere dalle concrete modalità di esercizio dell’attività. Di conseguenza, quando un soggetto Iva dispone di un sito web relativo all’attività esercitata, quand’anche utilizzato solamente per scopi pubblicitari, lo stesso è tenuto ad indicare il numero di P.I., come chiaramente disposto dall’articolo 35, comma 1. L’articolo 35, comma 2, lett. e), concerne, invece, il contenuto della dichiarazione di inizio attività, la cui presentazione è un adempimento che precede l’attribuzione della P.I: ed è finalizzato, fra l’altro, all’acquisizione da parte dell’Amministrazione finanziaria delle informazioni inerenti all’attività da esercitare”.

La decisione contenuta nella risoluzione n. 60 dell’Agenzia delle Entrate viene motivata dal fatto che “qualora l’indicazione del numero di P.I. nel sito web fosse necessaria solamente per quanti svolgono attività di e-commerce, non vi sarebbe stata ragione di qualificare, al comma 1, il sito web come eventuale, posto che, in caso di commercio elettronico, l’esistenza di uno spazio web è necessaria ai fini dello svolgimento dell’attività”.

Pertanto, tutti i titolari di Partita Iva, sia imprese che professionisti, che possiedono un sito web per qualsiasi finalità (anche solo a fini pubblicitari), devono esporre nella home page, e non nelle pagine interne, il numero della P.I.

Risulta sicuramente corretta, sia sotto l’aspetto fiscale sia per una questione di trasparenza nei confronti dei potenziali acquirenti, la pratica dei venditori professionali nelle aste su eBay consistente nell’indicazione del numero di Partiva Iva. In tal modo, infatti, non solo ci si mette al riparo da eventuali contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, ma gli acquirenti possono verificare l’effettiva professionalità del venditore.

Dato che la normativa si rivolge ai soggetti Iva, è evidente che dall’obbligo in questione sono da escludere coloro che gestiscono un sito web per fini amatoriali (es. forum, pubblicazione di foto, ecc.), in quanto non svolgono un’attività né d’impresa né di lavoro autonomo. Qualora questi soggetti esclusi ospitassero un banner pubblicitario sul proprio sito, l’introito andrebbe certificato non già attraverso l’emissione di una fattura (in quanto non titolari di partita Iva), ma attraverso una semplice ricevuta o notula per prestazione occasionale. Salvo future prese di posizione da parte dell’Amministrazione finanziaria al riguardo.

In merito alle sanzioni, nel caso di mancato adempimento a tale obbligo, trattandosi di una violazione agli obblighi di comunicazione prescritti dall’art. 11, comma 1, lettera a) del D.P.R. 472 del 1997, si rischierebbe una multa tra € 258,23 e € 2.065,85. Però, alcuni giuristi affermano che, in questo caso, difficilmente si potrà arrivare all’erogazione di una sanzione amministrativa, in quanto l’articolo 6, comma 5bis della stessa legge, prevede l’impunibilità “delle violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione dell’imposta e sul versamento del tributo”.

L’Agenzia delle Entrate non ha voluto chiarire questo aspetto, anzi, la risposta della stessa è consistita nell’attivare dei controlli fin dal 2007, che hanno consentito di rilevare un numero non indifferente di soggetti Iva inadempienti e ai quali sono state comminate le relative sanzioni.

Nell’incertezza che caratterizza l’aspetto sanzionatorio, consiglierei i soggetti Iva possessori di un sito web di adeguarsi alla normativa, in attesa delle decisioni del Giudice Tributario in merito a eventuali ricorsi presentati da coloro che, nel frattempo, sono stati sanzionati.

Concludendo, l’introduzione dell’obbligo in oggetto, a mio parere, va inquadrato in un’ottica più ampia, ossia la tutela del rapporto tra consumatore e azienda riguardo ai contratti a distanza. Infatti, il D.Lgs. n. 185/99 (che ha recepito la Direttiva Europea 97/7/CE e oggi confluito nel D.Lgs. n. 206/2005), stabilisce i criteri che le aziende devono rispettare riguardo alle comunicazioni contrattuali al cliente. In particolare, prima di concludere un contratto a distanza, l'azienda dovrà fornire al cliente una serie di informazioni, tra le quali: l'identità del fornitore; le caratteristiche principali del bene o servizio acquistato; le condizioni economiche della transazione; ogni particolare concernente la consegna e le modalità di pagamento; l'esistenza o meno del diritto di recesso, comprese le modalità e i tempi di restituzione o ritiro del bene in caso di esercizio di tale diritto.

Tutte queste informazioni, soprattutto quelle riguardanti l'identità del fornitore del bene o del servizio devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile, osservando i principi di buona fede e lealtà in materia di transazioni commerciali. Inoltre, il consumatore deve ricevere conferma di tutte le informazioni inerenti l'identità del fornitore, l'esercizio del diritto di recesso, l'indirizzo del fornitore per eventuali reclami, in forma scritta o su altro supporto duraturo a sua disposizione e a lui accessibile, e tra tutte queste voci, è evidente che rientri anche l'indicazione chiara della Partita Iva. Va comunque osservato che quest’ultimo adempimento se da un lato non incide sulla credibilità di un’azienda e sulla qualità dei prodotti/servizi offerti, d’altro canto connota serietà e accresce il livello di lealtà e di trasparenza delle transazioni, contribuendo a creare la fedeltà del cliente nei confronti dell’impresa fornitrice (la cd. Customer Loyalty).

Dott. Rocco Ricci
per International Traders


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